1 Ultima modifica di spillo69 (09-09-2019 21:58:08)

Discussione: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Come frequentatore (non particolarmente assiduo) delle attività organizzate dall’associazione non lucrativa Giocatori in Scatola di Vittorio Veneto ho partecipato alla bella chiacchierata con Spartaco Albertarelli durante la serata di pre-Ludica di sabato 7 settembre 2019 (chiacchierata breve … peccato).

Credo (forse) possa essere utile fissare per punti (e a futura memoria) alcuni elementi della conversazione che mi sono rimasti più impressi.

1. Mi è piaciuta la brevissima digressione storica fatta da Albertarelli sulla parola gioco. Ha in particolare riferito che nell’antica Grecia il termine impiegato per indicare questa attività era “paignon” (traslitterato ovviamente). Ed ha aggiunto che esso stava ad indicare un’attività “a tempo perso”. La cosa mi ha lasciato perplesso perché ricordavo altro… e così, dopo aver rispolverato qualche lettura, credo che l’affermazione vada un po’ corretta. Si tratta di attività a cui i greci dedicavano parte del tempo libero … non del tempo perso (che sembra avere una connotazione negativa). Il tempo libero era la condizione desiderabile del greco cittadino della polis: libero da occupazioni materiali (affidate agli schiavi) il cittadino (solo maschio) era in grado di dedicarsi alle cariche pubbliche che gli venivano affidate dalla comunità e di coltivare le discipline utili per la propria formazione, gratificazione e (perché no?) anche per il proprio riposo personale (filosofia, teatro, ginnastica e appunto anche un po’ di gioco).

2. Molto interessante mi è parsa anche l’affermazione di Albertarelli secondo cui il gioco è una attività fine a sé stessa (da questo punto di vista si avvicina alla filosofia). Credo però che la cosa sia un po’ più complessa, visto che il gioco (compreso quello da tavolo) è anche visto come modalità per addestrarsi o per educarsi divertendosi. Penso ad esempio ai giochi olimpici, con i quali si esalta l’eccellenza delle prestazioni fisiche e la loro disciplina, ai giochi di tattica e strategia impiegati da secoli nell’esercito per acquisire una migliore comprensione dei teatri di guerra reali, passati presenti o futuri, ai giochi di tipo economico o storico, che vengono talvolta impiegati proficuamente nelle scuole o nelle università per comprendere meglio determinati fenomeni sociali o economici. Il che rende l’attività ludica non sempre fine a sé stessa, ma spesso utile in vista di altro.

3. Venendo allo stato della diffusione del gioco da tavolo in Italia, mi trovo d’accordo con l’idea espressa da Albertarelli, che vi sia ancora una certa arretratezza culturale a differenza di altri paesi europei e non. Sarebbe stato interessante chiarirne le cause, ma la mancanza di tempo ha impedito questo possibile approfondimento. Tra le possibili ne ricordo due … abbastanza note peraltro. Innanzitutto, nell’immaginario collettivo degli italiani il gioco da tavolo è ancora considerato un passatempo infantile (talvolta nelle discussioni si fa fatica a scindere il gioco da tavolo dal giocattolo … e l’impiego nei giochi in scatola di componentistiche da urlo oggi non aiuta …) e per questo relegato nel periodo in cui si ritorna un po’ tutti bambini: Natale. Le cose non stanno affatto così come si sa. Ma tant’è. In secondo luogo, l’offerta di giochi da tavolo, che per molti lustri ha caratterizzato il mercato interno, è quella (se prescindiamo dai classici monopoli e risiko) dei giochi che erano emanazione di programmi televisivi. Forse anche questo ha contribuito a svilirne il valore (qualcuno si ricorda titoli come OK il prezzo è giusto?). Oggi le cose sono certamente migliorate come anche Albertarelli ha sottolineato. Resta comunque difficile parlare di diffusione capillare e più facile parlare di diffusione “a macchia di leopardo”: Vittorio Veneto rimane quindi un’eccezione … forse.

4. Albertarelli non ama la parola gioco intelligente. Trova che si tratti di espressione che favorisce l’allontanamento piuttosto che l’avvicinamento delle persone a questo hobby. Qui mi sento d’accordo solo in parte. Sono d’accordo se si vuole sostenere che non serve aggiungere alla parola gioco l’aggettivo intelligente perché il gioco autentico (quale che sia la sua forma) è per definizione intelligente. Sono in disaccordo se si considera la percezione che del gioco da tavolo si ha ancora qui in Italia: vedi il precedente punto 3. E allora usare l’espressione “gioco intelligente” può avere un senso. Moderazione e prudenza nel suo impiego potrebbero però non guastare.

5. Per quanto riguarda il mercato del gioco da tavolo, Albertarelli ha spalancato una porta aperta … almeno la mia porta. Ci sono troppi giochi e poche partite fatte (tema già discusso anche in altro tread di questo forum). Pare che l’entusiasmo per questo hobby sia stato letteralmente cannibalizzato dal mercato che ha trasformato molti giocatori in veri e propri consumatori orientati ad aumentare indefinitamente la propria disponibilità di giochi. Personalmente sotto questo profilo sono propenso a paragonare l’attività ludica al tavolo da gioco all’attività del cibarsi al tavolo … da cucina. Non ha senso incrementare in modo indefinito le proprie risorse di cibarie, perché altrimenti delle due l’una: o si aumenta progressivamente la quantità di cibo da ingurgitare … ma allora si va al creatore … oppure non la si aumenta, ma allora le cose in dispensa ammuffiscono e sono da buttare … con conseguente spreco di risorse. E ciò senza contare la qualità di ciò che si mangia e dei tempi della masticazione e della digestione. Se invece per un attimo ci si fermasse e si considerasse il numero di giochi che come appassionati si possiedono già, forse ci si renderebbe conto che la massa complessiva di titoli potrebbe abbondantemente soddisfare le esigenze dei prossimi 10 anni di Ludica, visto che la maggior parte dei frequentatori di questa bella manifestazione conosce molto poco il mondo dei giochi da tavolo. Perché mai un Tigris e Eufrate di Knizia un Twixt di Randolph un Caylus di Attia o una Guerra dell’Anello di Di Meglio, Maggi e Nepitello dovrebbero essere lasciati nell’armadio ad ammuffire? Tra l’altro gli esempi appena fatti riguardano classici del gioco da tavolo utili anche per aiutare un possibile appassionato a non prendere granchi e a non considerare una genialata magari un titolo più recente che copia di sana pianta titoli editati molto tempo prima. Eviteremmo così di scoprire l’acqua calda.

6. Albertarelli ha anche aggiunto che la corsa all’accumulo ludico molto spesso si accompagna all’idea che ciò che è nuovo sia più valido e geniale di quanto ormai risalente nel tempo. C’è del vero in quello che ha detto e lo condivido come ho avuto modo di sottolineare anche in altri tread. In questa ricerca della novità a tutti i costi c’è forse anche un pizzico di competizione tra giocatori appassionati, interessati per ragioni di prestigio personale a tagliare prima di altri il traguardo della novità da proporre. Si tratta di una simpatica debolezza umana … Ad ogni modo i meccanismi del gioco in scatola non sono infiniti, anche se non credo che – come detto da Albertarelli – tutti si possono considerare già noti all’uomo sin dai tempi del faraone Thutmosis (primo? secondo? terzo? o quarto? … scherzo ovviamente). Resta il fatto che la ricorsa alla novità e il conseguente assorbimento di tempo libero che richiede impedisce la valorizzazione di titoli che possono avere dieci, venti, trenta o anche più anni e che conservano oggi tutta la loro validità. Ad esempio durante il sabato pomeriggio pre-Ludica ho proposto ad alcuni amici una partita ad Acquire, gioco economico-azionario inventato negli anni 60 (se non erro). Nessuno lo conosceva (a parte il mio omonimo a cui lo avevo già fatto provare) e mi pare sia stato apprezzato. Il gioco (dal regolamento snello e facilmente assimilabile) conserva una freschezza e una buona profondità che lo rende giocabilissimo anche oggi. Il che dimostra che nuovo non è affatto sinonimo né di geniale, né di migliore. Ma gli esempi potrebbero forse moltiplicarsi.

7. Interessante anche quanto riferito da Albertarelli circa il mondo ludico tedesco, che non sembra più (pare di capire) “l’ombelico del modo” e cioè il maggiore mercato dei giochi da tavolo. Una buona ragione per non farsi prendere dall’ansia di andare ad Essen? Scherzo anche qui ovviamente. Resta il fatto che la diffusione della cultura del gioco da tavolo in Germania ha un radicamento che l’Italia ancora si sogna, malgrado la maggiore diffusione degli ultimi anni. Quanto al sostegno delle istituzioni, durante la chiacchierata si è parlato di sgravi fiscali. Albertarelli segnala che sarebbero comunque maggiori in Italia che in Germania (sui diritti d’autore ad esempio). La cosa può sembrare paradossale, ma mi pare abbia una sua logica. In Italia l’attività di inventore di giochi da tavolo è sicuramente molto rara. Gravarla con una qualche forma particolare di tassazione significherebbe farla scomparire definitivamente. In Germania gli inventori non sono merce rara. Questo forse chiarisce la ragione per la quale è meno avvertita la necessità di detassare in modo più che significativo i relativi proventi (che oltretutto potrebbero essere mediamente più alti che in Italia). Da noi ciò che incide sulla diffusione sembra invece essere la tassazione delle vendite dei giochi da tavolo con IVA al 22%. Tassazione che non è compensata da minori costi di produzione visto che il mercato è più ristretto che in Germania.

8. Quale valore aggiunto avrebbe il gioco da tavolo rispetto ai videogiochi? Nessuno. Questo è il pensiero di Albertarelli espresso su mia domanda sabato sera. E ciò perché nessuna evidenza scientifica autorizza a considerare l’uno salutare e l’altro nocivo. La risposta mi è sembrata un po’ troppo lapidaria (ma il tempo era oggettivamente poco). Qualche approfondimento in più sarebbe invece opportuno. Ad esempio, per azzardare un paragone con il mercato dei libri (paragone da me fatto anche durante la chiacchierata di sabato scorso), mi pare esista già qualche studio che sottolinea come la lettura e lo studio su libri di carta favorisca uno sviluppo migliore e più equilibrato delle capacità psichiche e/o intellettuali rispetto a quello possibile utilizzando gli e-book. C’è allora da chiedersi se nell’ambito delle neuroscienze esistano studi comparativi di qualche genere che aiutino a fare luce sulla qualità degli effetti che sulla psiche umana hanno rispettivamente il gioco da tavolo e il videogioco. Personalmente ho giocato pochissimo ai videogiochi e non gioco “da tavolo” con le app (mi pare un controsenso). Ho però la sensazione che “far funzionare” un gioco da tavolo e cioè far si che una scatola da gioco “prenda vita” attorno a un tavolo tra giocatori in carne ed ossa sia operazione intellettualmente (e caratterialmente) più complicata rispetto a quanto richiesto dai videogiochi e all’attività ludica on-line. E se è più complicata o articolata non posso escludere che la qualità di sviluppo delle qualità psichiche e/o intellettuali e/o caratteriali sia forse migliore. E’ chiaro che quelle appena fatte sono riflessioni estemporanee. Le domande rimangono aperte dunque.

Qui termino.

Grazie ancora all’organizzazione e ai volontari che hanno saputo rendere piacevole e stimolante la manifestazione.

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Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

spillo69 ha scritto:

1. Mi è piaciuta la brevissima digressione storica fatta da Albertarelli sulla parola gioco. Ha in particolare riferito che nell’antica Grecia il termine impiegato per indicare questa attività era “paignon” (traslitterato ovviamente). Ed ha aggiunto che esso stava ad indicare un’attività “a tempo perso”. La cosa mi ha lasciato perplesso perché ricordavo altro… e così, dopo aver rispolverato qualche lettura, credo che l’affermazione vada un po’ corretta. Si tratta di attività a cui i greci dedicavano parte del tempo libero … non del tempo perso (che sembra possedere una connotazione negativa).

Mi sono perso questa parte... ricordo che ha parlato di "scholeìo", scuola in greco antico, che letteralmente significa oziare, perder tempo...

Riguardo alla eccessiva compulsività e al pericolo di un collezionismo fine a se stesso, sono d'accordo... ma credo che sia un problema comune a tanti hobby. Conosco "ciclisti" che hanno bici da favola che usano 4 volte l'anno, persone che hanno librerie di libri di cui metà sono ancora da leggere, e-book pieni di files mai aperti, e così via...

Certo i classici sono da far scoprire, e siamo in molti al circolo a proporre ai nuovi arrivati Puerto, Alta tensione, Agricola, Brass, Caylus (Catan io no, perché è invecchiato male). Abbiamo comprato anche El grande! E 2 anni fa ho consigliato a Giulia Dall'Antonia l'acquisto di Torres, che proprio tu mi hai fatto conoscere.
Però, se vuoi un minimo venire incontro a gente che si affaccia titubante al nostro mondo, farsi aiutare con giochi recenti, dai materiali meravigliosi, è altrettanto importante... (belle le fusioni di entrambe le cose, come quando hanno rieditato Santorini, dotandolo di materiali superbi).

Inoltre, penso che l'avversione al nuovo vada con altrettanta forze osteggiata, a mio parere. Sarebbe come pensare che i libri classici (Promessi sposi, Guerra e pace e Madame Bovary, ...) possano essere esaustivi per acculturare o intrattenere una persona.
Ci sono giochi recenti che danno la birra al 90% dei giochi degli anni '90 e 2000. Parlo del tuo Food Chain Magnate, di Azul, di Marco Polo, per citare i primi tre che mi vengono in mente.
Potrei anche dire che, se non erro (Riottoso o Tony63 mi correggeranno) solo 7 anni fa venivano pubblicati Pax porfiriana (Eklund) e Andean abyss (Ruhnke), due giochi capostipiti di due filoni che hanno sicuramente contribuito al mondo del gioco da tavolo.
Pax Renaissance sono sicuro ti piacerebbe... quando vuoi te lo spiego!
Per non parlare delle emozioni che mi hanno donato i due Pandemic legacy...

Sintetizzando, penso che la cosa migliore sia crescere (ludicamente) e far crescere sviluppando buone basi di conoscenza dei classici, per poi scoprire il meglio che esce oggi, e valutarlo con il senso critico dato appunto dall'esperienza acquisita.
Non è facile... dopo quasi 10 anni mi sembra una strada ancora tutta da percorrere!

Riguardo ai videogiochi, non concordo con Spartaco... almeno in una cosa i BG sono superiori ai videogiochi: la socialità al tavolo, fatta anche di scherzi, battute e prese in giro, se serve, cementa spesso amicizie che mai nascerebbero da un videogioco (seppur magari multigiocatore), e la nostra associazione ne è la prova lampante!

Chiudo dicendoti che anche a me è volata la chiacchierata serale, ma devi capire che eravamo tutti molto stanchi da una giornata di preparativi e ci aspettava una seconda giornata di lavoro massacrante seppur gratificante. E' stato sensato chiuderla lì, anche se mi è spiaciuto molto farlo... ma fa piacere pensare che in tutti sia rimasta la voglia di continuarla, vuol dire che è riuscita bene.

Continua a darci indicazioni e opinioni... sono importanti e stimolanti, almeno per me!

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3 Ultima modifica di spillo69 (10-09-2019 00:40:32)

Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Ti ringrazio. Ecco cosa ricordavo in modo inesatto.

Albertarelli ha in effetti richiamato (non ricordo in che modo) non il termine greco antico  "paignon" (che ho solo sognato), ma il termine, sempre greco antico, per indicare la scuola.

Questo termine è in effetti "scholeio", il quale a propria volta - ha precisato - deriva da "en scholei".

"En scholei" però ... confermo ... non vuol dire "perdere tempo", ma piuttosto essere liberi da occupazioni materiali (lasciate agli schiavi di solito).

Il che conferma che avere tempo libero non significava affatto impiegarlo per ciò stesso in attività prive di valore.

Il cittadino greco era per definizione colui che aveva tanto tempo libero per dedicarsi alla politica e ad attività di cura del corpo e dello spirito.

Tra queste anche il gioco non era escluso.

Il che conferma che per gli elleni giocare non significava comunque perdere tempo.

Quale fosse il valore del gioco chiaramente andrebbe indagato ...

Per quanto riguarda la brevità della chiacchierata, ho detto che è stato un peccato perché mi è parsa stimolante.

Albertarelli è preparato e si sente.

Ma sapevo bene che non si poteva fare altrimenti per motivi organizzativi.

Lo avevo già detto a Iugal domenica.

Visto l'interesse potrebbe invece essere un'idea dedicare una serata in altro momento ad un confronto con autori preparati che parlino del loro lavoro e della loro visione dei giochi da tavolo.

La butto li come suggerimento estemporaneo.

Quanto al valore aggiunto dei giochi da tavolo rispetto ai videogiochi anch'io come dicevo condivido poco quello che ha detto Albertarelli.

Ma non la porrei come una maggiore apertura alla socialità del gioco da tavolo rispetto al videogioco come mi pare fai tu.

Questo è un dato se vogliamo estrinseco per quanto importante.

Io ponevo il problema del rapporto tra gioco e mente.

Rispetto a questo problema Albertelli mi pare abbia detto che tra videogiochi e giochi da tavolo non ci sarebbero differenze se non in termini di attivazione di diverse parti del cervello.

Ecco. Anche se così fosse sarebbe interessante capire che parti siano e se alcune siano più importanti di altre.

Il mio esempio tratto dai libri voleva andare in questa direzione.

P.S. Quanto ai libri classici personalmente tendo a preferirli da 15 anni a questa parte.

Rileggendoli anche.

Un classico proprio perché tale non finisce ma di parlarti.

Chiaramente leggo anche qualche contemporaneo.

Ma dopo accurate selezioni ... visto che per noi che non viviamo nell'antica Grecia il tempo libero è assai limitato ;-).

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Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Sai che proprio domenica, vedendo quanti contatti con autori e altri possibili ospiti stanno nascendo, mi era balenata un'idea un po' folle che ti piacerebbe? Ne parlerò in riunione... e se son rose...

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Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Quale valore aggiunto avrebbe il gioco da tavolo rispetto ai videogiochi? Nessuno. Questo è il pensiero di Albertarelli espresso su mia domanda sabato sera. E ciò perché nessuna evidenza scientifica autorizza a considerare l’uno salutare e l’altro nocivo. La risposta mi è sembrata un po’ troppo lapidaria (ma il tempo era oggettivamente poco). Qualche approfondimento in più sarebbe invece opportuno

Per quello che mi sembra di ricordare, in realtà ha solo detto (o forse era Spartaco) che non ci sono evidenze scientifiche che dimostrino quanto e in che modo il gioco da tavolo riesca ad aiutare lo sviluppo cognitivo. Riguardo all'aspetto nocivo invece non ricordo di aver udito parola, né in bene né in male. Mi ricordo invece che è stato detto in sintesi che il gioco in scatola ha il chiaro vantaggio di favorire la socializzazione, a differenza di quanto riesca a fare il videogioco...

Sintetizzando, penso che la cosa migliore sia crescere (ludicamente) e far crescere sviluppando buone basi di conoscenza dei classici, per poi scoprire il meglio che esce oggi, e valutarlo con il senso critico dato appunto dall'esperienza acquisita.

Visto che hai spezzato una lancia a favore dei giochi classici, colgo l'occasione per sapere la tua opinione dentro la seguente discussione https://www.giocatorinscatola.it/forum/ … hp?id=657.

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6 Ultima modifica di spillo69 (10-09-2019 15:05:47)

Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Cetto … Spartaco e Albertarelli sono esattamente il nome e il cognome della stessa persona.

Quanto alla presunta nocività dei videogiochi, forse sopra mi sono espresso male o mi hai male inteso.

Anche se mi pareva che nella sostanza il con … Cetto fosse chiaro … scusa il bisticcio di parole. big_smile

La mia domanda sul presunto “valore” aggiunto dei giochi in scatola riguardava la possibilità o meno di stabilire una sorta di gerarchia qualitativa tra giochi da tavolo e videogiochi.

Estremizzando è chiaro che ciò che è salutare è migliore (per definizione) di ciò che è nocivo.

E Albertarelli (cioè Spartaco) ha risposto affermando che dal punto di vista scientifico non ci sarebbero evidenze particolari.

Può darsi. Ma in fondo – come sai – la scienza progredisce.

Ad esempio qualcosa si sta già affermando sulla differenza tra apprendimento con libri cartacei e apprendimento con audiolibri (il gioco da tavolo è un gioco con regolamento cartaceo).

Sulla tua proposta, non saprei che dire, perché è stata trasferita in una sezione a cui non ho accesso. non essendo socio ma solo simpatizzante.

Se poi la stessa riguardava – come mi pare di ricordare – il gioco di Risiko, qualcosa si è già detto in altra discussione del forum. Io lo reputo un gioco poco più che infantile. Non propriamente un classico. Spero non mi lapiderai.

Come gioco nato in un passato più o meno remoto fa comunque parte della storia di questo hobby. Un po’ come il Monopoly o il Non ti arrabbiare.

Su eventuali iniziative ludiche che lo riguardano cedo volentieri la parola all’organizzazione e ai soci di Giochi in Scatola.

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Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Bel post, Pierpaolo! Anche a me ha interessato molto la discussione di sabato e condivido quello che dici. Domenica ho chiacchierato con Carlo Bortolini ed abbiamo anche noi toccato un paio di punti della discussione.
1) Come dici tu, la scienza deve evolversi perché studi gli effetti dei GdT da vari punti di vista: un'impresa tutt'altro che semplice. Carlo, d'altra parte, mi ha citato un esperimento in cui si è mostrato come i cellulari (il cui uso somiglia a quello di certi videogiochi...) possano influire negativamente sulla memoria, se non.... ricordo male! Credo che si riferisse alla diminuzione della capacità della nostra memoria a breve termine, che normalmente è di 7 +/- 2 chunk. Secondo me a Spartaco piace provocare per contrastare i nostri pregiudizi ("i videogiochi sono dannosi",  "i GdT sono giochi intelligenti", ai quali aggiungerei "RisiKo! è il male"). L'ultima cosa che ha detto è stata la più importante: "dipende da quanto ci giochi". Ok, la discussione potrebbe andare avanti ore...
2) Carlo mi ha fatto notare come molti GdT italiani siano impegnativi (vedi i titoli di Tascini/Luciani), a differenza dei francesi che sono medio/leggeri. Penso che questa tendenza si inserisca bene nel contesto culturale italiano descritto da Spartaco. Credo cioè che produciamo giochi complessi per riscattarne il valore culturale che altrimenti sarebbe considerato al pari di un giocattolo per bambini. Problema che quindi in Francia non dovrebbero avere.

P.S. manteniamo la discussione sull'argomento del titolo

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Re: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica

Utilissimo il post di Spillo per fissare i concetti dell'interessante, e ahimè breve, chiacchierata con Albertarelli.

Mi ha fatto riflettere in particolare la categorica frecciata sull'uso (e abuso) dell'aggettivo "intelligente", associato a "gioco", per definire con snobismo un certo tipo di attività e di prodotto. E io spesso ci casco.

D'altra parte il generalizzare serve ma non sempre aiuta. Serve per scopi come la divulgazione, l'allargamento, ma non sempre aiuta altri scopi come l'approfondimento, l'analisi, promuovere una cultura (ludica) diffusa, ecc...

Sul tema del confronto videogame vs boardgame, Albertarelli, sempre categoricamente e provocatoriamente, affermava che non è importante a cosa si gioca, l'importante è giocare. Ridimensionando un altra posizione un po' snob che abbiamo noi boardgamer nei confronti di "quelli che si rimbambiscono davanti a uno schermo".
Gioco visto e valutato quindi come attività fine a sè stessa e senza scopo, in contrapposizione all'utilitarismo della quotidianità e del lavoro. Un ingresso nel "cerchio magico" che ti porta dentro un altro mondo che non è quello della quotidianità.

Anche quì credo che l'affermazione di Albertarelli non sia da intendere alla lettera, ma più come provocazione. Se diciamo che va bene tutto purchè si giochi, si rischia di (s)cadere in contraddizioni che un po' tutti abbiamo bollato come dannose.
I distinguo (e l'approfondimento) credo aiutino e siano auspicabili in particolare da quelle istanze che lottano per diffondere la cultura del gioco. Che è diverso e più sottile (più snob?) dal diffondere i giochi in scatola. La prima è mentale, la seconda è meramente materiale.

Insomma tra giocare e non giocare, d'accordo, in generale meglio la prima ma dipende.
I distinguo... E ogni tanto anche l'uso di qualche aggettivo positivo come "intelligente", non lo vedo dannoso e divisivo. Usando prudenza e moderazione.

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