Discussione: Appunti sparsi sulla chiacchierata con Albertarelli durante pre-Ludica
Come frequentatore (non particolarmente assiduo) delle attività organizzate dall’associazione non lucrativa Giocatori in Scatola di Vittorio Veneto ho partecipato alla bella chiacchierata con Spartaco Albertarelli durante la serata di pre-Ludica di sabato 7 settembre 2019 (chiacchierata breve … peccato).
Credo (forse) possa essere utile fissare per punti (e a futura memoria) alcuni elementi della conversazione che mi sono rimasti più impressi.
1. Mi è piaciuta la brevissima digressione storica fatta da Albertarelli sulla parola gioco. Ha in particolare riferito che nell’antica Grecia il termine impiegato per indicare questa attività era “paignon” (traslitterato ovviamente). Ed ha aggiunto che esso stava ad indicare un’attività “a tempo perso”. La cosa mi ha lasciato perplesso perché ricordavo altro… e così, dopo aver rispolverato qualche lettura, credo che l’affermazione vada un po’ corretta. Si tratta di attività a cui i greci dedicavano parte del tempo libero … non del tempo perso (che sembra avere una connotazione negativa). Il tempo libero era la condizione desiderabile del greco cittadino della polis: libero da occupazioni materiali (affidate agli schiavi) il cittadino (solo maschio) era in grado di dedicarsi alle cariche pubbliche che gli venivano affidate dalla comunità e di coltivare le discipline utili per la propria formazione, gratificazione e (perché no?) anche per il proprio riposo personale (filosofia, teatro, ginnastica e appunto anche un po’ di gioco).
2. Molto interessante mi è parsa anche l’affermazione di Albertarelli secondo cui il gioco è una attività fine a sé stessa (da questo punto di vista si avvicina alla filosofia). Credo però che la cosa sia un po’ più complessa, visto che il gioco (compreso quello da tavolo) è anche visto come modalità per addestrarsi o per educarsi divertendosi. Penso ad esempio ai giochi olimpici, con i quali si esalta l’eccellenza delle prestazioni fisiche e la loro disciplina, ai giochi di tattica e strategia impiegati da secoli nell’esercito per acquisire una migliore comprensione dei teatri di guerra reali, passati presenti o futuri, ai giochi di tipo economico o storico, che vengono talvolta impiegati proficuamente nelle scuole o nelle università per comprendere meglio determinati fenomeni sociali o economici. Il che rende l’attività ludica non sempre fine a sé stessa, ma spesso utile in vista di altro.
3. Venendo allo stato della diffusione del gioco da tavolo in Italia, mi trovo d’accordo con l’idea espressa da Albertarelli, che vi sia ancora una certa arretratezza culturale a differenza di altri paesi europei e non. Sarebbe stato interessante chiarirne le cause, ma la mancanza di tempo ha impedito questo possibile approfondimento. Tra le possibili ne ricordo due … abbastanza note peraltro. Innanzitutto, nell’immaginario collettivo degli italiani il gioco da tavolo è ancora considerato un passatempo infantile (talvolta nelle discussioni si fa fatica a scindere il gioco da tavolo dal giocattolo … e l’impiego nei giochi in scatola di componentistiche da urlo oggi non aiuta …) e per questo relegato nel periodo in cui si ritorna un po’ tutti bambini: Natale. Le cose non stanno affatto così come si sa. Ma tant’è. In secondo luogo, l’offerta di giochi da tavolo, che per molti lustri ha caratterizzato il mercato interno, è quella (se prescindiamo dai classici monopoli e risiko) dei giochi che erano emanazione di programmi televisivi. Forse anche questo ha contribuito a svilirne il valore (qualcuno si ricorda titoli come OK il prezzo è giusto?). Oggi le cose sono certamente migliorate come anche Albertarelli ha sottolineato. Resta comunque difficile parlare di diffusione capillare e più facile parlare di diffusione “a macchia di leopardo”: Vittorio Veneto rimane quindi un’eccezione … forse.
4. Albertarelli non ama la parola gioco intelligente. Trova che si tratti di espressione che favorisce l’allontanamento piuttosto che l’avvicinamento delle persone a questo hobby. Qui mi sento d’accordo solo in parte. Sono d’accordo se si vuole sostenere che non serve aggiungere alla parola gioco l’aggettivo intelligente perché il gioco autentico (quale che sia la sua forma) è per definizione intelligente. Sono in disaccordo se si considera la percezione che del gioco da tavolo si ha ancora qui in Italia: vedi il precedente punto 3. E allora usare l’espressione “gioco intelligente” può avere un senso. Moderazione e prudenza nel suo impiego potrebbero però non guastare.
5. Per quanto riguarda il mercato del gioco da tavolo, Albertarelli ha spalancato una porta aperta … almeno la mia porta. Ci sono troppi giochi e poche partite fatte (tema già discusso anche in altro tread di questo forum). Pare che l’entusiasmo per questo hobby sia stato letteralmente cannibalizzato dal mercato che ha trasformato molti giocatori in veri e propri consumatori orientati ad aumentare indefinitamente la propria disponibilità di giochi. Personalmente sotto questo profilo sono propenso a paragonare l’attività ludica al tavolo da gioco all’attività del cibarsi al tavolo … da cucina. Non ha senso incrementare in modo indefinito le proprie risorse di cibarie, perché altrimenti delle due l’una: o si aumenta progressivamente la quantità di cibo da ingurgitare … ma allora si va al creatore … oppure non la si aumenta, ma allora le cose in dispensa ammuffiscono e sono da buttare … con conseguente spreco di risorse. E ciò senza contare la qualità di ciò che si mangia e dei tempi della masticazione e della digestione. Se invece per un attimo ci si fermasse e si considerasse il numero di giochi che come appassionati si possiedono già, forse ci si renderebbe conto che la massa complessiva di titoli potrebbe abbondantemente soddisfare le esigenze dei prossimi 10 anni di Ludica, visto che la maggior parte dei frequentatori di questa bella manifestazione conosce molto poco il mondo dei giochi da tavolo. Perché mai un Tigris e Eufrate di Knizia un Twixt di Randolph un Caylus di Attia o una Guerra dell’Anello di Di Meglio, Maggi e Nepitello dovrebbero essere lasciati nell’armadio ad ammuffire? Tra l’altro gli esempi appena fatti riguardano classici del gioco da tavolo utili anche per aiutare un possibile appassionato a non prendere granchi e a non considerare una genialata magari un titolo più recente che copia di sana pianta titoli editati molto tempo prima. Eviteremmo così di scoprire l’acqua calda.
6. Albertarelli ha anche aggiunto che la corsa all’accumulo ludico molto spesso si accompagna all’idea che ciò che è nuovo sia più valido e geniale di quanto ormai risalente nel tempo. C’è del vero in quello che ha detto e lo condivido come ho avuto modo di sottolineare anche in altri tread. In questa ricerca della novità a tutti i costi c’è forse anche un pizzico di competizione tra giocatori appassionati, interessati per ragioni di prestigio personale a tagliare prima di altri il traguardo della novità da proporre. Si tratta di una simpatica debolezza umana … Ad ogni modo i meccanismi del gioco in scatola non sono infiniti, anche se non credo che – come detto da Albertarelli – tutti si possono considerare già noti all’uomo sin dai tempi del faraone Thutmosis (primo? secondo? terzo? o quarto? … scherzo ovviamente). Resta il fatto che la ricorsa alla novità e il conseguente assorbimento di tempo libero che richiede impedisce la valorizzazione di titoli che possono avere dieci, venti, trenta o anche più anni e che conservano oggi tutta la loro validità. Ad esempio durante il sabato pomeriggio pre-Ludica ho proposto ad alcuni amici una partita ad Acquire, gioco economico-azionario inventato negli anni 60 (se non erro). Nessuno lo conosceva (a parte il mio omonimo a cui lo avevo già fatto provare) e mi pare sia stato apprezzato. Il gioco (dal regolamento snello e facilmente assimilabile) conserva una freschezza e una buona profondità che lo rende giocabilissimo anche oggi. Il che dimostra che nuovo non è affatto sinonimo né di geniale, né di migliore. Ma gli esempi potrebbero forse moltiplicarsi.
7. Interessante anche quanto riferito da Albertarelli circa il mondo ludico tedesco, che non sembra più (pare di capire) “l’ombelico del modo” e cioè il maggiore mercato dei giochi da tavolo. Una buona ragione per non farsi prendere dall’ansia di andare ad Essen? Scherzo anche qui ovviamente. Resta il fatto che la diffusione della cultura del gioco da tavolo in Germania ha un radicamento che l’Italia ancora si sogna, malgrado la maggiore diffusione degli ultimi anni. Quanto al sostegno delle istituzioni, durante la chiacchierata si è parlato di sgravi fiscali. Albertarelli segnala che sarebbero comunque maggiori in Italia che in Germania (sui diritti d’autore ad esempio). La cosa può sembrare paradossale, ma mi pare abbia una sua logica. In Italia l’attività di inventore di giochi da tavolo è sicuramente molto rara. Gravarla con una qualche forma particolare di tassazione significherebbe farla scomparire definitivamente. In Germania gli inventori non sono merce rara. Questo forse chiarisce la ragione per la quale è meno avvertita la necessità di detassare in modo più che significativo i relativi proventi (che oltretutto potrebbero essere mediamente più alti che in Italia). Da noi ciò che incide sulla diffusione sembra invece essere la tassazione delle vendite dei giochi da tavolo con IVA al 22%. Tassazione che non è compensata da minori costi di produzione visto che il mercato è più ristretto che in Germania.
8. Quale valore aggiunto avrebbe il gioco da tavolo rispetto ai videogiochi? Nessuno. Questo è il pensiero di Albertarelli espresso su mia domanda sabato sera. E ciò perché nessuna evidenza scientifica autorizza a considerare l’uno salutare e l’altro nocivo. La risposta mi è sembrata un po’ troppo lapidaria (ma il tempo era oggettivamente poco). Qualche approfondimento in più sarebbe invece opportuno. Ad esempio, per azzardare un paragone con il mercato dei libri (paragone da me fatto anche durante la chiacchierata di sabato scorso), mi pare esista già qualche studio che sottolinea come la lettura e lo studio su libri di carta favorisca uno sviluppo migliore e più equilibrato delle capacità psichiche e/o intellettuali rispetto a quello possibile utilizzando gli e-book. C’è allora da chiedersi se nell’ambito delle neuroscienze esistano studi comparativi di qualche genere che aiutino a fare luce sulla qualità degli effetti che sulla psiche umana hanno rispettivamente il gioco da tavolo e il videogioco. Personalmente ho giocato pochissimo ai videogiochi e non gioco “da tavolo” con le app (mi pare un controsenso). Ho però la sensazione che “far funzionare” un gioco da tavolo e cioè far si che una scatola da gioco “prenda vita” attorno a un tavolo tra giocatori in carne ed ossa sia operazione intellettualmente (e caratterialmente) più complicata rispetto a quanto richiesto dai videogiochi e all’attività ludica on-line. E se è più complicata o articolata non posso escludere che la qualità di sviluppo delle qualità psichiche e/o intellettuali e/o caratteriali sia forse migliore. E’ chiaro che quelle appena fatte sono riflessioni estemporanee. Le domande rimangono aperte dunque.
Qui termino.
Grazie ancora all’organizzazione e ai volontari che hanno saputo rendere piacevole e stimolante la manifestazione.