1 Ultima modifica di spillo69 (28-03-2017 20:54:57)

Discussione: L'arte del gioco da tavolo

Segnalo questo libretto di Emiliano Sciarra (autore del famoso gioco di carte Bang!), edito da Mursia nel 2010.

Si intitola "L'arte del gioco".

Lo avevo acquistato e sfogliato subito dopo la sua pubblicazione e poi riposto e dimenticato in un angolo della libreria (come qualche volta mi capita).

Si tratta di un saggio breve dedicato al problema del gioco da tavolo (e di carte) come possibile opera d'arte.

Ed  è accompagnato da una prefazione di Andrea Angiolino (altro noto autore italiano di giochi).

Lo segnalo perché mi pare offra alcuni spunti interessanti sui quali riflettere.

Ad esempio (per riprendere il "fil rouge" dipanato nel topic dedicato ai "bugiardini dei giochi da tavolo" di questo forum), secondo Sciarra un gioco può essere classificato come una forma d'arte (o forse meglio sarebbe dire come un'opera d'arte) se e solo se il gioco reca in se un qualche messaggio (e cioè un contenuto di significati che viene comunicato a chi ne fruisce).

Scrive Sciarra a pag. 119 che nel settore dei giochi da tavolo "la quasi totalità degli autori non pensa altro che a ideare un meccanismo funzionante e piacevole per i giocatori, che da parte loro si accontentano di passare un po' di tempo divertendosi. Il terzo attore di questo balletto,  cioè i produttori di giochi,  non ha la minima intenzione di pubblicare giochi 《artistici》 perché,  fra l'altro,  ritiene che il pubblico non li apprezzerebbe, e forse non ha tutti i torti. Insomma, il gioco è praticamente autoreferenziale".

L'inventore di Bang! prosegue a questo punto chiedendosi cosa potrebbero fare gli autori per superare questo stato di cose.

Tutti loro - scrive Sciarra - "avrebbero i mezzi per comunicare qualcosa: veicolare in modo semplice ed efficace concetti anche complessi è anzi uno dei pregi indiscussi dei giochi. Questo concetto viene spesso sottovalutato dagli stessi addetti ai lavori, ormai abituati al fatto che il gioco sia fine a se stesso.  E invece chi gioca percepisce comunque un messaggio legato fortemente all'ambientazione del gioco,  anche se non c'è nessuna comunicazione da parte dell'autore. Nei giochi in cui il legame fra ambientazione e meccaniche è labilissimo il giocatore si sente quasi preso in giro: è inutile richiamare una pomposa ambientazione se poi, a conti fatti, il carattere puramente astratto del gioco viene fuori quasi subito.  Ad esempio nel gioco da tavolo Ra [di Knizia], peraltro bellissimo,  il fatto che ci sia un'ambientazione di stampo egizio è completamente inutile: non c'è il minimo collegamento reale con le divinità, o la società,  o la storia egizia. A conti fatti, è un gioco astratto con un'ambientazione incollata a forza,  e i giocatori se ne accorgono quasi subito: segno che l'ambientazione è percepita, eccome, così come lo 《stacco 》con le regole. Se la meccanica è infatti solo un modo per far funzionare un sistema di parti correlate che interagiscono fra loro, allora non può portare nessun messaggio. (...). La mancanza di impegno degli autori di giochi in questa direzione è proprio quello che fa pensare all'autore di giochi come a un artigiano. Ci si preoccupa solo del lato puramente estetico e funzionale, senza cercare di dire altro. Sarebbe come pubblicare un libro scritto benissimo che però alla fine non ha un messaggio o una morale, o realizzare un film spettacolare ma totalmente vuoto e insipido (come si ritiene siano molti film《di cassetta》, specialmente hollywoodiani)".

Il saggio è, ripeto, del 2010, ma credo abbia qualcosa da dire anche oggi...

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Re: L'arte del gioco da tavolo

Quando si introduce il concetto di arte si entra in un terreno pericoloso, perchè si rischia di non sapere di che cosa si sta parlando. E ancora più oggi, dove l'arte - cosiddetta - contemporanea
è parte di fenomeni piuttosto estesi e complessi. Tanto per citarne uno dove ho fatto alcuni studi l'estetica diffusa.
Sarei curioso di leggere la bibliografia a cui Sciarra si appoggia.
Tanto per dire, usare termini come comunicazione e messaggio avvicinati al concetto di opera d'arte è piuttosto discutibile. Nonchè uno degli argomenti tipici che mi fanno annusare odore di dilettantismo... Ma sarebbe, come ho detto, da capire la bibliografia e leggere il libro.

P.S. Ho proprio intavolato Ra di Knizia domenica con Alberto Peris e Ivan.

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3 Ultima modifica di spillo69 (29-03-2017 06:07:08)

Re: L'arte del gioco da tavolo

Mah. Ci sono 6 pagine di bibliografia.
Sulla qualità della stessa non mi esprimo.
Vedo comunque citati per esempio Huizinga, De Toffoli, Colovini,  Kramer, Zimermann ecc.

Cio detto, il saggio ha un carattere abbastanza rapsodico, ma con qualche spunto interessante ....

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Re: L'arte del gioco da tavolo

Un giorno avremi una biblioteca tematica dell'associazione! Anche CdG ha un bel.libro se ricordo...

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Re: L'arte del gioco da tavolo

Questo articolo da poco comparso nel sito della Tana dei Goblins mi pare offra una qualche conferma della sensatezza dei rilievi di Sciarra....

https://www.goblins.net/articoli/integr … ame-design

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Re: L'arte del gioco da tavolo

spillo69 ha scritto:

Questo articolo da poco comparso nel sito della Tana dei Goblins mi pare offra una qualche conferma della sensatezza dei rilievi di Sciarra....
https://www.goblins.net/articoli/integr … ame-design

L'articolo supporta uno dei due discorsi di Sciarra, quello riguardo l'importanza dell'ambientazione.
In particolare pone l'accento, come anche tu sostieni, sul legare le meccaniche al tema.
Chiave di lettura questa che mi vede d'accordo, e che trovo più solida rispetto ad approssimativi discorsi che fanno leva sulla componentistica o sulle sensazioni al tavolo dei giocatori.
E a corollario del ragionamento trovo opportuna - forse l'avevo già sottolineata - l'analisi dell'altro articolo, il primo, che rispondeva alla domanda su quanto tema è davvero necessario. E' necessario se aiuta il giocatore a capire il gioco e cosa sta facendo, se lo aiuta a giocare insomma.

Utile riprendere l'esempio di Sciarra su Ra. Il gioco è molto astratto senza dubbio, ma il tema non è del tutto assente.
Il gioco è un collezione set oggetti (tessere) raccolte mediante meccanica di asta (asta originalissima). Il gioco si sviluppa lungo tre round (le tre epoche dell'Egitto) alla fine di ogni era si conteggiano i punti e alcune tessere rimangono, mentre altre vengono rimesse nella scatola. Le tessere Nilo, per esempio, valgono 1 punto l'una, ma solo se si possiede almeno una tessera inondazione. Le prime rimangono per tutta la partita le seconde vengono rimosse a fine era.
Trovo l'elemento sensato, un giocatore controlla un tratto di Nilo che si allunga con l'avanzare del gioco, ma gli darà benefici solo se arriva un inondazione a rendere fertili i terreni circostanti.
La sensatezza del tutto mi aiuta a ricordare cosa fanno i Nili e cosa le inondazioni, giustifica il fatto che le inondazioni sono più rare dei Nili, motiva la rimozione o la conservazione a fine era.
Insomma l'accusa di Sciarra che si tratti di un gioco dove l'ambientazione è “completamente inutile” la trovo ingiusta, perchè a ben vedere non vera.
Una domanda interessante potrebbe essere se e quanto l'ambientazione abbia influenzato questo particolare aspetto del gioco. Mi piace pensare che Knizia abbia in parte sviluppato la meccanica pensando all'antico Egitto.

L'altro discorso di Sciarra, quello sul valore artistico del gioco in scatola, al momento non mi pare sia stato affrontato in questa serie di articoli di game design, ad ogni modo mi vede più cauto e circospetto.
Liquiderei per il momento l'impressione che traspare dal passo che hai riportato, per cui sembrerebbe che per lui avere un gioco portatore di un messaggio (grazie all'ambientazione) sia una condizione necessaria perchè un gioco possa essere "elevato" a opera d'arte. Se l'impressione fosse giusta, si tratterebbe di un binomio del tutto fuorviante e tecnicamente sbagliato, per la condizione attuale dell'arte (binomio arte-comunicazione), ma appunto occorrebbe leggere il saggio per arrivare a conclusioni in merito. Aggiungo solo che se anche ho tra le mani un gioco dove “il legame tra ambientazione e meccaniche è labilissimo”, io personalmente non è che mi sento preso in giro.
La mia perplessità non riguarda comunque la sua argomentazione - vera o presunta, ma piuttosto il discorso generale della legittimità nel considerare opera d'arte un gioco in scatola.
Sostengo che non deve essere da dentro il mondo dei giochi in scatola che questa legittimità debba venire. Sentire un autore di giochi, ma varrebbe anche con altri soggetti (dall'editore al semplice appassionato), affermare che il gioco in scatola è una forma d'arte e i suoi prodotti – i giochi in scatola – delle opere d'arte, mi sembra la classica situazione del “se la canta e se la suona”.
Ecco che la mia idea è che tale legittimità possa arrivare solo da ambiti esterni al mondo dei giochi in scatola, e nella fattispecie dalla critica d'arte stessa. La quale è probabilmente quella con gli strumenti più idonei per capire se un certo ambito culturale ha raggiunto una notevole “maturità” e “dignità”.
Per ora, rimanendo con i piedi per terra, penso sia importante lo sviluppo di una critica specializzata, con un minimo di produzione teorica a supporto. E quello che alcuni – pochissimi – recensori fanno con competenza, potrebbe costituire una solida base per arrivare a una critica di livello che permetta al mondo dei boardgame di “farsi notare” all'esterno.

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