Discussione: L'arte del gioco da tavolo
Segnalo questo libretto di Emiliano Sciarra (autore del famoso gioco di carte Bang!), edito da Mursia nel 2010.
Si intitola "L'arte del gioco".
Lo avevo acquistato e sfogliato subito dopo la sua pubblicazione e poi riposto e dimenticato in un angolo della libreria (come qualche volta mi capita).
Si tratta di un saggio breve dedicato al problema del gioco da tavolo (e di carte) come possibile opera d'arte.
Ed è accompagnato da una prefazione di Andrea Angiolino (altro noto autore italiano di giochi).
Lo segnalo perché mi pare offra alcuni spunti interessanti sui quali riflettere.
Ad esempio (per riprendere il "fil rouge" dipanato nel topic dedicato ai "bugiardini dei giochi da tavolo" di questo forum), secondo Sciarra un gioco può essere classificato come una forma d'arte (o forse meglio sarebbe dire come un'opera d'arte) se e solo se il gioco reca in se un qualche messaggio (e cioè un contenuto di significati che viene comunicato a chi ne fruisce).
Scrive Sciarra a pag. 119 che nel settore dei giochi da tavolo "la quasi totalità degli autori non pensa altro che a ideare un meccanismo funzionante e piacevole per i giocatori, che da parte loro si accontentano di passare un po' di tempo divertendosi. Il terzo attore di questo balletto, cioè i produttori di giochi, non ha la minima intenzione di pubblicare giochi 《artistici》 perché, fra l'altro, ritiene che il pubblico non li apprezzerebbe, e forse non ha tutti i torti. Insomma, il gioco è praticamente autoreferenziale".
L'inventore di Bang! prosegue a questo punto chiedendosi cosa potrebbero fare gli autori per superare questo stato di cose.
Tutti loro - scrive Sciarra - "avrebbero i mezzi per comunicare qualcosa: veicolare in modo semplice ed efficace concetti anche complessi è anzi uno dei pregi indiscussi dei giochi. Questo concetto viene spesso sottovalutato dagli stessi addetti ai lavori, ormai abituati al fatto che il gioco sia fine a se stesso. E invece chi gioca percepisce comunque un messaggio legato fortemente all'ambientazione del gioco, anche se non c'è nessuna comunicazione da parte dell'autore. Nei giochi in cui il legame fra ambientazione e meccaniche è labilissimo il giocatore si sente quasi preso in giro: è inutile richiamare una pomposa ambientazione se poi, a conti fatti, il carattere puramente astratto del gioco viene fuori quasi subito. Ad esempio nel gioco da tavolo Ra [di Knizia], peraltro bellissimo, il fatto che ci sia un'ambientazione di stampo egizio è completamente inutile: non c'è il minimo collegamento reale con le divinità, o la società, o la storia egizia. A conti fatti, è un gioco astratto con un'ambientazione incollata a forza, e i giocatori se ne accorgono quasi subito: segno che l'ambientazione è percepita, eccome, così come lo 《stacco 》con le regole. Se la meccanica è infatti solo un modo per far funzionare un sistema di parti correlate che interagiscono fra loro, allora non può portare nessun messaggio. (...). La mancanza di impegno degli autori di giochi in questa direzione è proprio quello che fa pensare all'autore di giochi come a un artigiano. Ci si preoccupa solo del lato puramente estetico e funzionale, senza cercare di dire altro. Sarebbe come pubblicare un libro scritto benissimo che però alla fine non ha un messaggio o una morale, o realizzare un film spettacolare ma totalmente vuoto e insipido (come si ritiene siano molti film《di cassetta》, specialmente hollywoodiani)".
Il saggio è, ripeto, del 2010, ma credo abbia qualcosa da dire anche oggi...